Rifiuti, una miniera d’oro che i Comuni dimenticano
(da La Stampa del 7/2/2014 )
(da La Stampa del 7/2/2014 )
I Sindaci si lamentano
dei tagli statali, ma la gestione efficiente dell’immondizia è ancora lontana.
E se volessero i rifiuti potrebbero generare (oltre all’ambiente pulito)
occupazione e risorse per le casse comunali
di Veronica Ulivieri
Perdita di controllo sul servizio, tassa ancora calcolata sui metri
quadrati, poco impegno per la raccolta differenziata nonostante faccia
risparmiare. I sindaci d’Italia si lamentano dei tagli statali, ma la gestione
efficiente dell’immondizia è ancora lontana
Cambiano i governi, ma continuano i tagli ai Comuni. Eppure, se le proteste
degli enti locali sono spesso legittime, i sindaci non sempre mettono lo stesso
impegno nel rendere più efficienti servizi e gestioni, per recuperare da lì
qualche risorsa in più. Emblematico è il caso dei rifiuti, che possono
rivelarsi, a seconda dei casi, una voce di costo o un generatore di risorse,
risparmi e occupazione. Oggi in Italia la raccolta differenziata è al 40%. (…)
Ezio Orzes, assessore all’Ambiente di Ponte nelle Alpi, il comune nel
bellunese primo della classe in fatto di raccolta differenziata, con una
percentuale che sfiora il 90%, racconta: “Per lo smaltimento dei rifiuti in
discarica, nel 2008 spendevamo 450 mila euro l’anno. Adesso, grazie a una forte
riduzione, solo 40mila. I soldi risparmiati li abbiamo trasferiti da una voce
di costo improduttivo all’occupazione, assumendo altre dieci persone per
servizi di igiene urbana. E tuttavia, risparmiamo l’11% rispetto a cinque anni
fa”.
Da sempre, la via più efficace per abbattere i chili di spazzatura è
intervenire sul portafoglio, modulando la bolletta in base alla produzione
effettiva di rifiuti. In quest’ottica, nelle intenzioni del decreto Ronchi
(varato nel lontano 1997), la tariffazione puntuale avrebbe dovuto gradualmente
sostituire la tassa rifiuti, passando da un calcolo dell’importo basato sulla
superficie dell’abitazione a uno sulla quantità dei rifiuti prodotti,
attraverso una fase intermedia, quella della tariffa “parametrica”. Oggi, i
Comuni che hanno applicato un sistema a tariffa sono, secondo l’Ispra, 1.347,
meno di due municipi su 10. I motivi sono tanti e svelano, dietro una questione
apparentemente burocratica, molte dinamiche di un settore in cui sono in gioco
molti soldi.
“Un po’ per inerzia e un po’ per la sottovalutazione dei vantaggi
conseguibili con il passaggio alla tariffazione puntuale – spiega Attilio
Tornavacca, esperto di rifiuti e direttore dell’istituto Esper –, molti Comuni
hanno continuato ad applicare la vecchia TARSU, oppure hanno introdotto la TIA
parametrica, anche se già fin dall’emanazione del decreto Ronchi veniva
previsto l’obbligo, poi prorogato, di passare alla tariffa puntuale fin dal
1999. La gran parte dei Comuni ha quindi deciso di mantenere un sistema più
semplice e comodo per chi deve incassare la tassa per coprire i costi di igiene
urbana, ma molto iniquo per gli utenti virtuosi che riescono a ridurre i
rifiuti non riciclabili. La tassa calcolata sui metri quadri si basa infatti su
un imponibile facilmente quantificabile, mentre per l’attuazione del regime
tariffario puntuale c’è bisogno di un maggiore impegno dal punto di vista
organizzativo e di eliminare i cassonetti per passare alla raccolta porta a
porta, l’unica che consente realmente il conteggio degli svuotamenti di ogni
singola utenza. La stessa Anci ha chiesto per dieci anni la proroga della tassa
rifiuti”, bloccando di fatto ogni evoluzione verso un sistema più efficiente. I
Comuni che hanno applicato la tariffa puntuale, infatti, “sono sempre quelli
che oggi ottengono i risultati più alti di raccolta differenziata e le bollette
più basse per le famiglie. Analizzando la situazione piemontese, abbiamo
calcolato che con la tariffazione puntuale diminuiscono del 19% i costi per i
cittadini e aumenta del 21% la raccolta differenziata”, continua
Tornavacca.
Ma oltre all’Anci, ad aver messo i bastoni tra le ruote sono state anche le
società proprietarie degli inceneritori e delle discariche: “Questi impianti –
continua Tornavacca – hanno bisogno di
essere alimentati in modo costante e con elevati quantitativi di rifiuti. Se la
raccolta differenziata supera un certo livello, i rifiuti da smaltire in
discarica o bruciare diminuiscono e si è costretti a cercarli altrove, anche a
costo di ridurre le tariffe di conferimento e quindi gli utili di gestione,
come fanno i termovalorizzatori del Nord Europa”. Un meccanismo amplificato nei
casi in cui è la stessa azienda a gestire il servizio di raccolta differenziata
e lo smaltimento, come avviene in molti comuni italiani: “Si viene spesso a
creare un conflitto di interessi: se la raccolta differenziata aumenta oltre il
livello previsto quando era stato progettato l’impianto, si determina
inevitabilmente una sensibile riduzione degli utili di gestione
dell’inceneritore”. E le stesse lobby sono riuscite anche a ottenere incentivi
sulla produzione di energia dalla combustione di rifiuti, paragonata alle altre
fonti rinnovabili, gravando sulle bollette elettriche dei cittadini.
“L’ignoranza della politica e importanti lobby dell’industria sporca hanno
ingessato la gestione dei rifiuti, orientandola verso lo smaltimento piuttosto
che in direzione del riciclo”, riflette Ercolini. Producendo molte distorsioni.
Come ammette lo stesso Bernocchi, “in molti casi, attraverso
l’esternalizzazione della gestione dei rifiuti, i Comuni hanno perso il
controllo del servizio”. La maggior
parte delle amministrazioni, per pigrizia, ignoranza, mancanza di
professionalità e sotto la pressione di interessi forti, ha deciso di chiudere
gli occhi e non cercare, in tempi di magra per gli enti locali, di
razionalizzare il servizio. Vedi il caso dei corrispettivi “per i maggiori
oneri della raccolta differenziata”: i Consorzi per la raccolta e il riciclo
dei diversi tipi di imballaggi, coordinati da Conai, vendono i materiali alle
aste e versano ogni anno ai Comuni aderenti un contributo fisso, stabilito in
un accordo quinquennale con Anci. Secondo Bernocchi, “su 8.092 Comuni, però, solo
176, i più accorti, riscuotono direttamente questi contributi”. Tutti gli altri
delegano le aziende rifiuti, senza neanche chiedere conto dei flussi di cassa e
dell’ammontare di queste somme, elementi che invece dovrebbero essere
considerati nel negoziare il pezzo del servizio. “Molte amministrazioni non
sono ancora a conoscenza degli aspetti economici positivi per loro. Nei
prossimi anni ci impegneremo per una maggiore comunicazione su questo”, dice
Walter Facciotto, direttore generale di Conai, che raccoglie produttori e
utilizzatori di imballaggi.
Il Collegato ambiente varato dal Consiglio dei ministri a novembre scorso
ha rimandato al 2020 l’obiettivo di raccolta differenziata al 65% (che
corrisponde più o meno al target del 50% di riciclo posto dall’Unione europea)
e previsto un sconto sulla tassa per lo smaltimento in discarica – per pagare
solo il 20% dell’ecotassa, basterà raggiungere il 35% di differenziata entro il
2014, il 45% a fine 2016 e il 65% a fine 2020 –, accanto ad addizionali per i
municipi inadempienti. Obiettivi alla portata di tutti. Purtroppo, però, se gli
amministratori non raggiungeranno neanche questi target molto ammorbiditi, a
rimetterci saranno ancora una volta i cittadini.
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